È un’epoca di caos in cui è risulta difficile comprendere la differenza tra cosa vale e cosa no.
C’è una enorme confusione delle intenzioni, una nebbia che avvolge il cosa devo fare e cosa voglio fare. Non è facile vivere e neppure sopravvivere; ipotizzare che primo o poi si arriverà da qualche parte, si raggiungerà una meta, non è più scontato. Tutto è diventato precario, tutto corre veloce, tutto cambia con modalità repentina e ciò che era vero oggi, domani non lo è più.
Ciò che viviamo nella frenesia del quotidiano acquista sempre di più un ‘non senso’ e un ‘non valore’; è un caos che distrugge e lascia senza respiro, è un caos senza vitalità.
Allora partire è una possibile risposta a questo caos intriso di precarietà.
Partire e camminare senza alcuna competitività né con se stessi né con l’altro, con pochi piani e pochi sentieri tracciati. Forse durante il cammino possono farsi spazio domande ancestrali: chi sono? dove sto andando? posso fidarmi di questo percorso? e di questo terreno? e delle persone che camminano insieme a me?
Camminare diventa una forma di meditazione attiva, dove non vado altre, ma al contrario rimango nel presente passo dopo passo, sono nel mondo che mi circonda con il corpo e con la mente.
Camminare è anche una forma di calma resistenza nei confronti del mondo e del suo caos; è compiere passi che vadano oltre la nostra esistenza, è resistere alla folle velocità che ci impone il quotidiano.
E piano piano il caos diventa un mare calmo dove nulla è più importante dei miei passi.
Rita Casadio | Settembre 2018